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Il conversation designer di Antonio Perfido, un ponte tra esseri umani e macchine. Con il linguaggio come elemento in comune

di Cinzia Ficco
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Si chiama Conversation Design e promette di diventare una delle professioni del futuro, una delle 97 milioni posizioni che si potrebbero creare entro il 2025 quando, a leggere le previsioni del World Economic Forum, sarebbero 85 milioni i posti di lavoro destinati a scomparire con la trasformazione digitale.

Per lavorare nel contesto dell’intelligenza artificiale, non è necessario possedere una laurea tecnica. Al contrario c’è un gran bisogno di figure professionali ricche di percorsi umanistici.

Fondatore e guida di The Digital Box – Ai First Company italiana, leader nello sviluppo di tecnologie di Intelligenza Artificiale, Antonio Perfido (’66, Napoli) è ideatore del Convergent Marketing, un modello formativo basato sull’intelligenza artificiale e sul conversation design. A questi temi ha dedicato un libro, pubblicato di recente da FrancoAngeli, con la collaborazione di Iolanda Iacono, Cino Wang, Mario Arcella, Alessio Pomaro, Ernesto di Iorio ed Eleonora Chioda, giornalista esperta di innovazione e autrice della prefazione.

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In sintesi, chi è il conversation designer?

Potremmo definirlo il progettista delle esperienze conversazionali costruite sui bisogni delle persone. È un brillante esempio di convergenza tra più discipline: scrittura, marketing, scienze cognitive e tecnologiche. Una figura con varie competenze – dal copy all’Ux design – che rivestirà un ruolo sempre crescente nelle relazioni tra persone, marche e organizzazioni, basate su un rapporto uomo-macchina. Il conversation designer sarà il ponte tra gli esseri umani e le macchine che sembrano avere un elemento in comune: il linguaggio. Seppur diverso.

Comunicare con un cervello artificiale può risultare un’esperienza frustrante. Di qui la necessità, appunto, di progettare bene, cioè secondo regole precise, un flusso di conversazione tra esseri differenti. Si inizia cercando di capire quali sono le esigenze dell’utente (l’uomo) che possono variare: ricevere assistenza, risolvere un problema, ricercare informazioni.

La premessa alla progettazione di un buon assistente virtuale o vocale è identica per qualsiasi interfaccia utente: aiutare le persone a svolgere le proprie attività, in modo semplice ed efficiente. Con una differenza: l’Intelligenza Artificiale Conversazionale raggiunge questo risultato in modo automatizzato e con un tocco più personale ed empatico, del tutto simile a quello che solo un essere umano è in grado di offrire.

Dunque, l’architetto della conversazione insegna ai computer a comunicare come gli umani per rendere le esperienze delle persone con le interfacce facili, intuitive, utili, personali.

Si tratta di un professionista capace di definire il flusso di conversazione, curare i dialoghi e tracciare l’intera esperienza delle persone con un altoparlante ad attivazione vocale, un chatbot o un assistente virtuale.

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Ma quali sono le caratteristiche del conversation designer?

Il progettista delle conversazioni uomo-macchina deve avere la capacità di scrittura, quindi essere abile a produrre dialoghi, semplici fluidi e mirati. Il conversation design è un moderno copywriter. Copywriter, sceneggiatori, linguisti computazionali, novellisti e in generale chi fa della parola, scritta o parlata, il proprio mestiere sembrano destinati ad avere grandi opportunità in questo settore. Anche se dovremmo parlare di Ux writing e microcopy. All’abilità nello scrivere dobbiamo associare la conoscenza della tecnologia, del funzionamento dei modelli di apprendimento, della comprensione del riconoscimento vocale, della Nlu, dei principi di machine learning e dei principali linguaggi di programmazione.

È importante avere le idee chiare su come portare nelle nostre vite, personali e professionali, strumenti e tecnologie per poterle sfruttare al meglio, senza timori e pregiudizi

Fondamentale è avere una ossessione per la prospettiva del cliente perché il designer della conversazione deve portare gli utenti al risultato che si attendono, in modo veloce e senza frizioni. Quindi aggiungiamo empatia, creatività, problem solving, capacità analitiche, dimestichezza con i dati.

Come si costruisce una buona conversazione, un dialogo memorabile, che sfrutti le potenzialità del linguaggio naturale?

È la grande sfida. Non si improvvisa, ma nei panni di un conversation designer bisogna conoscere il pubblico. In breve sapere: con chi, dove, per quale ragione e di che cosa l’assistente dialogherà. Grazie alle informazioni acquisite e in base alle aspettative del progetto si potrà decidere se realizzare un voicebot, un chatbot o un assistente virtuale, definire e circoscrivere le funzionalità da implementare, scegliere la piattaforma più idonea, dotarsi dei tool indispensabili per il lavoro da svolgere. Come dice Alessio Pomaro, head of SEO, che nel libro cita il progetto Wysa, una buona progettazione in un sistema di conversational Ai richiede che si parta dai bisogni dell’utente. L’agente conversational deve avere una personalità che rispecchi l’identità dell’azienda, i servizi proposti devono essere chiari, il linguaggio appropriato deve generare fiducia, promuovere l’engagement, fare in modo che gli utenti siano soddisfatti e tornino ad agire. La gestione degli errori va studiata a fondo, e si deve concedere l’opportunità di passare alla conversazione con un operatore umano.

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Quanto ci vorrà perché questi scenari diventino realtà?

Ricordo l’esempio del servizio sanitario scozzese che ha siglato un accordo con Big Health per fornire terapie digitali per l’ansia e l’insonnia come parte dei suoi servizi. E questo grazie a interfacce che studiano non solo la gestualità, ma anche il tono della voce, le espressioni, la postura degli utenti. Non dimentichiamo che da tempo esiste Igoodi, la prima fabbrica di avatar creata in Italia.

Gli assistenti umani artificiali sono sempre più realtà, in più settori. E diventa sempre meno remota la dimensione di nostri Avatar in giro nel Metaverso, cioè con il dono dell’ubiquità o quella in cui ci affidiamo sempre più a giudici, psichiatri, avvocati, insegnanti robot. Sebbene con molte riserve.

A fine 2021 Justin Bieber ha tenuto il primo di tre concerti nel Metaverso. Qualche mese prima era toccato ad Ariana Grande con il Rift tour event salire sul palco virtuale di Fortnite. Non credo si debba attendere un giorno. Quest’eventualità è già reale. Oggi è possibile istruire e addestrare un assistente virtuale per renderlo ampiamente edotto in un vasto panorama di temi e discipline. Credo che in questa fase storica, nell’approccio all’intelligenza artificiale debba prevalere lo spirito di piena collaborazione, né di sentimento, né di sudditanza. Fino a quando ci preoccuperemo di non subire l’Intelligenza Artificiale ci sfuggirà che questi strumenti sono i migliori alleati dell’uomo per lavorare in maniera migliore e più efficace. Dal punto di vista delle tutele, che sono davvero molto importanti, il legislatore europeo sta già intervenendo con un regolamento sull’Intelligenza Artificiale per garantire i diritti delle persone ed evitare che le tecnologie possano diventare invasive e consentire un accesso diffuso.

Uomo e macchina, pari, dunque?

È presumibile che le macchine possano sviluppare abilità superiori a quelle dell’uomo. L’uomo, però, ha il dominio completo sulla sfera emozionale ed empatica. L’errore è il contraltare delle qualità tipicamente umane. Le macchine da questo punto di vista hanno una minore probabilità di commettere errori. Ricordiamoci sempre lo spirito col quale dobbiamo accostarci all’evoluzione della tecnologia. Si tratta di un supporto costante nella risoluzione di problemi o nell’acquisizione di dati o informazioni in modo semplice e senza sforzi. La sfera emozionale, quella della riflessività non pare al momento trasferibile e replicabile in una macchina. Non so cosa potrà accadere in futuro. Secondo me è, però, importante avere le idee chiare su come portare nelle nostre vite, personali e professionali, strumenti e tecnologie per poterle sfruttare al meglio, senza timori e pregiudizi.

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Chiudiamo sulla figura professionale: come si può diventare conversation designer?

Dal 2021, con il brand Convergent Marketing, abbiamo avviato un percorso di divulgazione e formazione sui temi dell’intelligenza artificiale conversazionale. Tra le altre iniziative sono nate le MasterClass: classi ristrette di partecipanti – che hanno già formato più di 100 persone – a cui insegniamo i segreti del Conversation Design e della progettazione di assistenti virtuali di ultima generazione. È, oggi, indispensabile sapere che non è necessario possedere una laurea tecnica per lavorare nel contesto dell’intelligenza artificiale. Al contrario c’è un gran bisogno, da parte del mercato, di figure professionali ricche di percorsi umanistici.


Antonio Perfido
: laura in economia e abilitazione a dottore commercialista. Dal 2003 al 2008 ha gestito il merchandising online dei principali team calcistici italiani (Juventus, Milan, Fiorentina, Sampdoria, Torino Calcio). Dal 2013 ha contribuito alla creazione di The Digital Box con l’obiettivo di perseguire un nuovo modo di sviluppare tecnologie digitali in ambito marketing e comunicazione. Nel 2017, a seguito dell’acquisizione di QuestIT, spin-off dell’Università di Siena specializzata in soluzioni di Intelligenza Artificiale, The Digital Box ha arricchito la proposta al mercato, cambiando pelle in “AI first company”.

The Digital Box è oggi una scale-up, un gruppo di società, che occupa un posto rilevante nel mercato dell’intelligenza artificiale e delle soluzioni tecnologiche per il marketing mobile (MarTech). L’azienda è presente in cinque continenti con oltre 9mila aziende e agenzie di comunicazione servite. Nel 2019 le tecnologie e la metodologia di marketing denominata Convergent Marketing® hanno ottenuto la “honorable mention” di Gartner, tra le più importanti società di consulenza in ambito ICT, rientrando tra le prime 20 soluzioni al mondo prime in Italia e in Europa.

Photo cover: iStock / ismagilov

Cinzia Ficco

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