Nata per risolvere i problemi della logistica nello spazio, D-Orbit è specializzata nel consegnare satelliti, trasportare componenti da testare in orbita, gestire i detriti spaziali.
L’idea è venuta nel 2011 a Luca Rossettini e Renato Panesi, due ingegneri aerospaziali italiani di ritorno da un master di imprenditoria tecnologica nella Silicon Valley, finanziato da una Borsa di studio Fulbright. L’esperienza negli Stati Uniti, il contatto diretto con il centro di ricerca di NASA Ames e le principali aziende high tech dell’epoca hanno permesso a Luca e Renato di anticipare la fusione tra spazio – all’epoca un’industria che viveva soprattutto di sussidi pubblici – e modelli di business, basati su servizi a sottoscrizione tipici di imprese high tech private.
«La visione – spiega Sergio Mucciarelli, vicepresidente commercial sales – fin da subito è stata quella di creare una infrastruttura logistica per rendere possibile l’espansione dell’industria spaziale, indipendentemente dal successo di ogni specifica iniziativa di business. La roadmap prevede l’acquisizione graduale di capacità interne in tutto il verticale dell’industria, attraverso progetti di complessità crescente, finanziati con contratti pubblici e capitale di rischio».
L’azienda ha sede in Italia, a Fino Mornasco, in provincia di Como, con succursali in Portogallo, Inghilterra, e Stati Uniti.
Perché la D nel nome?
Per acquisire le capacità necessarie a progettare, lanciare, e operare satelliti in orbita, l’azienda ha dedicato le prime risorse allo studio di un dispositivo per la rimozione di detriti spaziali dall’orbita. Il risultato, reso possibile da un finanziamento Horizon 2020, è stato il D-Orbit Decommissioning Device (D3), un motore intelligente specializzato in manovre di fine vita, in inglese deorbiting maneuvers, termine che ha fornito anche lo spunto per il nome dell’azienda. D-Orbit è un’azienda pioneristica, la prima ad affrontare le esigenze logistiche del mercato spaziale.
Ci può spiegare come?
ION Satellite Carrier, ad esempio, è un veicolo spaziale in grado di trasportare satelliti in orbita e rilasciarli individualmente in slot orbitali distinti, riducendo il tempo dal lancio alle operazioni fino all’85% e i costi di lancio di un’intera costellazione di satelliti fino al 40%. In sintesi, si tratta di una piattaforma satellitare che può essere equipaggiata con qualunque tipo di satellite e strumentazione che sia compatibile con i requisiti della piattaforma stessa.
Cosa può ospitare a bordo?
Satelliti e dispenser di satelliti, payload di terze parti da testare in orbita, payload proprietari, che usiamo per fornire servizi avanzati e strumenti di terze parti per condurre missioni estese per conto di terzi. Ciascuna delle nostre missioni ha multipli obiettivi.
Quali?
Il primo è trasportare e rilasciare satelliti nell’orbita operativa, una cosa che di solito facciamo durante le prime settimane di missione. ION è in grado di rilasciare ogni singolo satellite in un’orbita personalizzata, e questo ci permette di completare profili di rilascio e distribuzione di satelliti molto più efficienti delle alternative. Il secondo è svolgere collaudo orbitale di payload di terze parti, ad esempio di strumenti e tecnologie innovative, eseguendo esperimenti concordati con il cliente.
Il terzo?
Offrire servizi in orbita attraverso payload proprietari che installiamo in ogni nostro veicolo. Da alcuni mesi, per esempio, abbiamo iniziato a fornire servizi di stoccaggio, elaborazione e trasmissione dati in orbita grazie a nodi di calcolo edge computing installati nei nostri veicoli più recenti e attualmente in orbita. I nostri servizi permettono a operatori satellitari di eseguire direttamente nello spazio complessi algoritmi di machine learning per processare dati grezzi in modo da ridurne il volume e aumentarne il valore analitico prima di inviarli a terra. Ma c’è un quarto obiettivo.
Che è?
Svolgere missioni per conto di terzi, usando strumenti caricati a bordo, secondo uno schema di pagamento pay-per-use che permette al cliente di usare la nostra piattaforma satellitare come un servizio, esternalizzando tutti i costi che non fanno parte del core business. In questo momento abbiamo clienti che stanno ordinando versioni personalizzate del veicolo. Dotato di un’antenna radar ad apertura sintetica, ION può, per esempio, diventare un vero e proprio satellite per l’osservazione remota della Terra, a basso costo e alte prestazioni.
Avete concorrenti in Italia?
Fin dal principio ci siamo posti l’obiettivo di creare infrastrutture a valore aggiunto di uso generale, invece di competere su prezzi e prestazioni in servizi specifici. Questo ci ha permesso da una parte di creare un vantaggio competitivo che, a tutt’oggi, rimane imbattuto, dall’altra ci ha reso una delle aziende più appetibili con cui stabilire partnerships in questo settore.
Chi sono i vostri clienti?
D-Orbit ha iniziato le attività grazie a capitale di rischio italiano. In termini di contratti, le prime opportunità ci sono state offerte da clienti istituzionali, come l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e la European Space Agency (ESA) e da concorsi istituzionali come Horizon 2020. Nel corso del tempo, D-Orbit ha acquisito sempre più clienti privati sia europei che internazionali, tra i quali: Planet, Lockheed Martin, Isis Space, EnduroSat, Elecnor Deimos, Aistech, Brown University, Instituto de Astrofisica de Canarias e molti altri.
A quanto ammonta l’ultimo investimento in innovazione e di cosa vi siete dotati?
La nostra azienda è in costante stato di evoluzione. Le modalità di erogazione dei nostri servizi ci permettono di utilizzare la capacità residua di ogni nostro ION per collaudare a costi estremamente contenuti hardware, sottosistemi e procedure in vista di nuovi servizi. I nostri servizi commerciali di in-orbit edge computing, per esempio, sono stati sperimentati per la prima volta nel corso della nostra terza missione in partnership con il fornitore della piattaforma di calcolo orbitale a costi prossimi allo zero. Nella quarta avevamo già a bordo un nodo di calcolo più avanzato e clienti pilota paganti. Dalla quinta missione in poi, il nodo di calcolo è diventato una presenza fissa nella configurazione del veicolo e ora stiamo lavorando a perfezionare l’offerta di servizi di questo tipo. Al momento stiamo pianificando il collaudo in orbita di ulteriori sottosistemi che ci permetteranno di fornire nuovi servizi avanzati nel futuro prossimo.
Le vostre tecnologie aiuteranno il ritorno sulla luna prima del 2030 e lo sbarco su Marte nel 2040?
Il nostro obiettivo è sempre stato quello di aiutare aziende del settore a ottimizzare le loro attività esternalizzando le operazioni non ricorrenti (trasporto, rilascio, rimozione a fine vita) e tutti gli aspetti del flusso di lavoro che non hanno un’attinenza diretta con il core business (riparazione, rifornimento, upgrade, fornitura di capacità computazionali per operazioni transienti, e così via). La nostra roadmap include una progressiva espansione delle nostre infrastrutture su orbita lunare e marziana, a servizio delle attività di esplorazione, uso e commercializzazione future e, come in passato, verrà messa in atto gradualmente attraverso partnership con fornitori e aziende innovative.
Quanto vale oggi la Space economy e pensate che l’Italia riuscirà ad agganciarla?
Il mercato spaziale ha raggiunto un valore di circa 400 miliardi di dollari. Secondo Morgan Stanley, l’innovazione nel campo dei piccoli satelliti, progettati per operare in costellazioni globali da centinaia o migliaia di veicoli, creeranno servizi capaci di aumentare il valore di mercato a oltre 1 trilione di dollari nei prossimi 20 anni. Una cosa non molto risaputa: l’Italia è un Paese che ha sempre mantenuto una presenza di rilievo nell’industria spaziale mondiale. Oltre ad essere la terza nazione al mondo ad aver lanciato un satellite in orbita (dopo Unione Sovietica e Stati Uniti), è uno dei maggiori finanziatori dell’Agenzia Spaziale Europea. Una delle specialità del nostro Paese è la produzione di veicoli spaziali pressurizzati, al punto che la maggior parte dei moduli della Stazione Spaziale Internazionale sono stati prodotti a Torino. L’industria spaziale italiana, attualmente in forte crescita, include aziende di dimensioni piccole, medie e grandi che coprono l’intera filiera. Negli ultimi anni l’Italia ha scommesso sul finanziamento ai privati, creando il Fondo Nazionale per l’Innovazione. Il nostro Paese ha anche in portafoglio il Primo Space Fund – un fondo italiano focalizzato sugli investimenti nelle tecnologie aerospaziali. Maggiori opportunità arriveranno con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che include programmi spaziali per oltre due miliardi di euro da erogare in coordinamento con ASI ed ESA.
Con quali Università e centri di ricerca collaborate?
Sin dal principio abbiamo stretto partnership con centri universitari italiani, europei ed extraeuropei. I contesti di collaborazione sono i più vari: partecipazione a programmi di finanziamento pubblico, sviluppo di tecnologie innovative con applicazioni scientifiche o commerciali e ricerca congiunta di nuovi approcci tecnologici o di mercato. Molte delle nostre missioni includono progetti universitari di istituti come: la Brown University, il Centro Nazionale Ricerche italiano, il centro di ricerca Czech Aerospace Research Centre (VZLU) o la Direzione Programmi Educativi di Orbital Space, la cui missione è mettere gli studenti in condizione di contribuire al progresso della tecnologia delle comunicazioni satellitari e prepararli come futuri professionisti del settore
Il partner che vorreste avere? E per quale grande missione?
Questa è una risposta che non possiamo dare per non far torto alle straordinarie realtà con cui abbiamo già sviluppato partnership fruttuose. Possiamo tranquillamente dire che la nostra attenzione è al momento focalizzata su ricerca e sviluppo nel campo dell’in-orbit servicing, un campo dove le partnership strategiche avranno un’importanza centrale nel garantire il raggiungimento degli obiettivi che ci siamo posti.
Cosa significa per voi innovare e quanto questo Paese supporta le aziende come la vostra?
D-Orbit è nata prima che emergesse concretamente il mercato New Space. In assenza di linee guida, abbiamo formulato un approccio strategico resiliente, basato sull’individuazione di mercati promettenti piuttosto che sullo sviluppo cieco di tecnologie fini a sé stesse. Ogni nostra soluzione, concepita fin dal principio per poter generare entrate, è a sua volta un elemento fondante di prodotti e servizi per mercati che prevediamo stiano emergendo. Per questa ragione, la tabella di marcia delle nostre attività di ricerca e sviluppo è costantemente guidata dalla conversazione con i nostri clienti, in modo da poter individuare gli elementi tecnologici che possiamo sviluppare in modo incrementale per raggiungere i nostri obiettivi. Per esempio, la ragione per cui abbiamo iniziato a sviluppare il nostro core business a partire dal trasporto orbitale per piccoli satelliti è che il prossimo decennio vedrà il lancio di più di 23mila satelliti. Questi satelliti presto richiederanno servizi di riparazione, rifornimento e rimozione, e noi stiamo già preparando un’offerta di servizi di questo tipo sulle fondamenta delle nostre tecnologie correnti.