Avvocato, fondatore di uno studio legale, docente in corsi professionali di diritto civile e commerciale, Settembrini è molto attivo anche nel terzo settore, specialmente nella sua Lombardia. «A imprese e start up suggerisco di accompagnare idee e progetti con una seria programmazione»
Da professionista ed esperto di diritto, le nostre imprese e in generale il nostro made in Italy soffre di troppa burocrazia? Cosa aiuterebbe le nostre imprese ad alleggerirsi in ottica di rilancio?
Molte sono le difficoltà che quotidianamente in Italia i liberi professionisti e le imprese devono affrontare. Tra esse sicuramente emerge la burocrazia che se per certi versi è stata snellita attraverso alcuni strumenti telematici, in altre situazioni permane ed è difficile da sradicare. Anche per quanto riguarda la flessibilità del mercato del lavoro, che potrebbe aiutare sia i lavoratori meritevoli sia le aziende nel percorso di assunzione, con interventi dello Stato nel diminuire le tassazioni e a snellire alcuni processi del lavoro. Allo stesso modo sarebbe utile prevedere una maggiore tutela del Made in Italy a livello mondiale ed europeo. Siamo tra le nazioni più prolifiche nel manifatturiero, negli impianti fotovoltaici; siamo talentuosi, con forti capacità di creatività, di problem solving, eppure le nostre aziende spesso arrancano e, con l’attuale crisi energetica, molte hanno dovuto cessare l’attività e licenziare i dipendenti.
Quali sono gli aspetti legali più importanti da gestire per una start up, così come per un’impresa con ambizioni innovative?
Più che specificare i passaggi necessari per una start up che dipendono molto dalla forma scelta, dall’ambito in cui si sviluppano, quello che posso consigliare – come faccio quando parlo ai corsi professionali per i giovani – è di affrontare con serietà e con programmazione gli sviluppi che si vogliono per la propria “idea” anche rivolgendosi a professionisti preparati, affidabili e riservati (spesso le start up hanno delle innovazioni che potrebbero fare gola ai concorrenti…) che possano dare i corretti suggerimenti per i passi da seguire come i contratti da sottoscrivere. A volte sembra una spesa inutile, ma come si dice “prevenire è meglio che curare”, perché succede a volte di essere chiamati in situazioni drammatiche che con un po’ di attenzione si sarebbero potute evitare.
A che livello sono le aziende italiane nell’ambito della difesa legale dagli attacchi cyber?
Per rispondere a questa domanda bisognerebbe rivolgersi ad un ingegnere informatico, sicuramente più esperto. Ciò che è sotto gli occhi di tutti è che ci sono aziende che corrono dietro alle innovazioni in sicurezza e altre che invece lo ritengono non necessario. Sicuramente l’atteggiamento di queste ultime è un enorme rischio, ma a volte i costi da affrontare non sono alla portata di tutti. Vero è che come si sviluppa la sicurezza allo stesso modo si armano gli hackers, dunque è una corsa continua, spero non verso l’infinito. Ciò che è da sottolineare sono gli enormi rischi che si corrono qualora si sia oggetto di un attacco cyber con fuga di dati sensibili (e dunque con gravi ripercussioni per la privacy) e furto di dati riservati magari legati allo sviluppo o alla vita stessa dell’azienda.
Lei si dedica con grande impegno al terzo settore: cosa manca alle onlus e alle associazioni per garantirsi una struttura solida ed efficace?
Io sono cresciuto nel volontariato, avendo iniziato all’età di 11 anni, e devo dire che ho visto questo mondo cambiare nelle proprie strutture e in alcuni modi di porsi. Ciò che rimane – per fortuna – immutato è l’aiuto al prossimo in qualsivoglia modo lo si voglia intendere. La stessa pubblica amministrazione, in alcuni ambiti, si è accorta dell’apporto fondamentale alla vita sociale del terzo settore che spesso interviene dove non riesce lo Stato e ciò ha comportato degli investimenti ma che, a mio parere, sono insufficienti e spesso legati da una elefantiaca burocrazia che volendo escludere i soliti furbetti, blocca anche le organizzazioni solide, positive e fattuali. È fondamentale anche per il terzo settore capire gli sviluppi che ha il mondo in questi anni sia da un punto di vista della comunicazione (legata al fund raising o alla ricerca di volontari) sia gestionale: più si cresce più ci vogliono investimenti legati non solo al fine ultimo perseguito ma anche alla struttura stessa che deve essere snella ma capace e organizzata, mutuando alcune strutture delle imprese senza, però, svilire l’aiuto che si vuole dare.
Chiudiamo con Milano, la sua città: a che punto siamo nella ripresa post-pandemia, sia in ottica di progetti sociali che in termini di rilancio imprenditoriale?
Milano non si ferma mai, questo è sicuro. Anche durante la pandemia pochi sono stati a guardare, molti si sono dati da fare dall’aiuto ai condòmini bisognosi, al senza dimora che stazionava sotto casa, alla costruzione in pochi giorni di un ospedale in Fiera. Dunque non stupisce che alla riapertura si sia cercato di arginare i danni che essa ha prodotto, basta vedere le numerose attività o i negozi che hanno dovuto chiudere. Lascio ai politici gli interventi necessari che spero da un lato continuino e dall’altro siano ottimizzati ma rilancio – alla cittadinanza di Milano, della provincia e di tutta la Regione – con un suggerimento: quello di ritornare ad aver voglia di fare, di non aver timore di investire sia nel business sia nelle realtà sociali, anche aiutando il terzo settore che, ricordiamolo, è un’altra realtà duramente colpita dalla pandemia e dai lockdown. La vita è un continuo fermento, una serie di sfide da vincere, anche quando qualche difficoltà si presente va affrontata con desiderio di farcela senza però farsi trascinare nel vortice infinito ma riuscendo a ritagliare i giusti tempi per se stessi, per la propria famiglia e per aiutare il prossimo.