Ascoltare sempre più nitidamente il cosmo dal sottosuolo sarà presto una realtà possibile, grazie a un rilevatore sotterraneo per onde gravitazionali dal nome ambizioso: Einstein Telescope (ET). Ecco il resoconto di un evento del We Make Future.
Michele Punturo, dirigente di Ricerca all’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), coordinatore internazionale della collaborazione scientifica Einstein Telescope (ET) e coordinatore del progetto PNRR ETIC (ET Infrastructure Consortium), Marica Branchesi, professoressa ordinaria presso il Gran Sasso Science Institute, presidente del Consiglio Scientifico dell’Istituto Nazionale di Astrofisica e a capo dell’Einstein Telescope Observation Science Board, e Marco Pallavicini, vicepresidente dell’INFN e professore di Fisica sperimentale all’Università di Genova. Sono i tre protagonisti di un evento che si è svolto al We Make Future di Rimini, dedicato all’Einstein Telescope.
Il rilevatore riesce a misurare ciò che il fisico tedesco omonimo aveva solo predetto con la sua teoria della relatività, cioè che la gravità potesse propagarsi attraverso lo spazio-tempo sotto forma di onde. Tuttavia, solo un secolo dopo, nel 2015, gli scienziati sono riusciti per la prima volta a rilevare direttamente queste onde, aprendo un nuovo capitolo nella nostra comprensione dell’universo.
Il primo rivelatore interferometrico di onde gravitazionali a essere realizzato è stato LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory), negli Stati Uniti. LIGO nel 2015 ha segnato una pietra miliare storica, rilevando onde gravitazionali generate dalla collisione di due buchi neri lontani miliardi di anni luce dalla Terra. Due anni dopo, nel 2017, è entrato in operazione a Cascina, vicino a Pisa, advanced Virgo, che nel suo primo mese di operazione ha rivelato la collisione di due stelle di neutroni, aprendo insieme a LIGO l’era dell’astronomia multimessaggera.
La particolarità di ET
Mentre gli attuali rilevatori hanno, però, alcuni limiti nella loro capacità di osservazione, Einstein Telescope nasce proprio con lo scopo di migliorarla nettamente. Questo significherebbe poter rilevare non solo eventi più lontani, ma anche oggetti più deboli, come le esplosioni di supernova, le stelle di neutroni isolate o le onde gravitazionali prodotte durante le fasi iniziali del Big Bang. Con queste informazioni, gli scienziati possono ottenere nuove intuizioni sulla formazione dell’universo e sulle leggi fondamentali della fisica. «Virgo e LIGO hanno necessitato di un paio di decadi per la loro realizzazione. Mentre li portavamo a termine, nel lontano 2004, abbiamo cominciato a pensare al futuro e alle possibili evoluzioni. Di conseguenza, un gruppo di scienziati ha prodotto un proposal nel 2007, poi approvato dalla Commissione Europea. Dal 2007 al 2011 abbiamo studiato questo prossimo rilevatore di terza generazione, dedicando il nome a Einstein, in quanto padre di questo settore della ricerca» ha affermato Punturo, che abbiamo incontrato al We Make Future di Rimini.
La storia di ET
«Dopo il disegno concettuale, si è formata una comunità scientifica che ha portato avanti il progetto, grazie ad altri finanziamenti. Il grande salto è avvenuto ovviamente dopo il successo dei rilevatori attuali che ci ha permesso di presentare la proposta a livello europeo. Qui l’Italia ha rivestito il ruolo del leader, guidando un gruppo di altre quattro nazioni, al fine di realizzare in Europa questa grande infrastruttura», ha specificato. Contemporaneamente, l’anno scorso è nata una grande collaborazione scientifica che conta più di 1400 scienziati, che ora comprende 211 istituti di 23 nazioni: quindi possiamo dire che Einstein Telescope è diventato un progetto globale che coinvolge anche realtà del Brasile, dell’Asia, dalla Corea del Sud, dal Giappone e Taiwan.
Il progetto
Come abbiamo appena visto, prima che un rilevatore, Einstein Telescope è un progetto di ricerca e collaborazione. Sostenuto dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e dall’Istituto Nazionale Olandese di Fisica Subatomica (Nikhef), Einstein Telescope promette di essere una svolta epocale. La sua sensibilità supererà almeno di 10 volte quella dei rivelatori attuali, permettendo di osservare un numero molto maggiore di eventi. Con una capacità così potente, l’Einstein Telescope si propone di rilevare una vasta gamma di fenomeni gravitazionali, aprendo la strada anche a nuove scoperte nell’ambito della Fisica e dell’Astrofisica.
La Tecnologia dell’Einstein Telescope
«Quello che succede è come quando si lancia un sasso in uno stagno: si creano delle onde che poi si propagano. In questo caso, però, abbiamo degli eventi catastrofici, energetici che avvengono nell’universo che deformano lo spazio-tempo. Oggi siamo in grado di vedere quello che prima era invisibile attraverso i telescopi tradizionali o i satelliti che osservano la luce» ha osservato, con un esempio pratico, Branchesi.
Sarà la Sardegna la casa di ET?
Lo scorso giugno l’Italia si è candidata ufficialmente come nazione ospitante della struttura del rilevatore, proponendo il sito di Sos Enattos a Lula, in provincia di Nuoro. Un’occasione per il Belpaese che il ministro dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini ha definito «imperdibile»: ma quali sono i punti di forza della candidatura? A spiegarcelo è stato Pallavicini: «I punti di forza vengono dal passato, perché l’Italia oggi è uno dei due Paesi al mondo ad avere un rilevatore di onde gravitazionali funzionante e capace di misurare il segnale che viene da eventi cosmici lontanissimi, straordinariamente piccoli a terra, anche se sono eventi catastrofici nello spazio».
Il sito sardo ha buone possibilità di prevalere sulla concorrenza?
Ha risposto ancora Pallavicini: «Dal punto di vista scientifico l’assoluta superiorità del sito sardo è innegabile, ma gli investimenti da 2 miliardi di euro non sono solo scienza. Ci sarà da fare un ragionamento diplomatico e politico a livello europeo, sul quale stiamo lavorando. Il Governo ha recentemente istituito un comitato tecnico-scientifico di cui Branchesi fa parte, così come Ettore Sequi, Ambasciatore e Capo delegazione italiana nel Board of Governmental Representatives di Einstein Telescope, che ha iniziato un’intensa attività di lavoro in Europa». Ha aggiunto Punturo: «Le caratteristiche della roccia permettono di costruire infrastrutture sotterranee molto stabili, quindi geofisica, bassa densità abitativa e geotecnica fanno sì che il sito sia di estrema qualità. La Sardegna è una piattaforma estremamente stabile rispetto all’Italia, ha un rischio sismico molto basso».
Quando avverrà la scelta?
Ha continuato Pallavicini: «Probabilmente entro 2 anni, e coinvolgerà le agenzie scientifiche e la diplomazia. Esiste anche l’opzione di avere 2 siti: invece di realizzare un rilevatore triangolare, se ne realizzerebbero due a geometria a L. Questa è una valutazione da fare con gli scienziati, gli esperti e le autorità politiche. Vogliamo vincere questa sfida, oltre che le ricadute scientifiche, perché questo progetto può essere una grande opportunità per la Sardegna anche dal punto di vista economico sociale».
Che impatto avrà sul territorio?
Pallavicini ha aggiunto: «Il 99% delle infrastrutture sarà sottoterra, quindi le attività di coloro che già vivono in superficie non verranno minimamente influenzate in termini negativi. Inoltre, credo che saranno dei vantaggi a portare lì un’infrastruttura relativa alla copertura di rete per internet, che naturalmente andrà a beneficio di tutti. Ci saranno nuovi posti di lavoro, perché ci saranno servizi, dovranno essere realizzate strutture alberghiere, nasceranno ristoranti e attività economiche. Quella è una zona interna, quindi c’è la possibilità di uno sviluppo al di fuori della costa. Credo che la zona ne beneficerà molto. L’infrastruttura esterna non sarà particolarmente grande e a bassissimo impatto ambientale, come richiesto dai requisiti delle gare. Non ci saranno macchinari che inquinano. Oltretutto, ci sarà un flusso di persone che con regolarità». Il punto di vista di Branchesi: «Vorrei aggiungere che dal comitato tecnico scientifico del Ministero mi hanno chiesto cosa vorrebbero gli scienziati. Ho risposto che sono anche madri, padri e che, quindi, vorrebbero scuole internazionali, perché comunque verranno scienziati da tutto il mondo. Scuole internazionali di cui potrebbero beneficiare anche i locali. L’altra cosa che mi è venuta in mente è un ospedale, visto che aumenterà il numero di persone che avrà bisogno di servizi sanitari».
ET potrà mai arrivare all’uomo comune, come è stato per il telescopio per esempio?
Ha risposto Branchesi: «Se parliamo di calibrazione dei dati, di raccolta deve essere tutto fatto dallo scienziato, ma se invece parliamo dei dati diffusi, di allerte sui telefonini una sorta di partecipazione è possibile». Per Pallavicini: «Volendo sognare, l’idea che tra 20 anni in una scuola elementare un bambino si colleghi a un computer, legga i dati di ET e li utilizzi per un’esercitazione in classe, non la vedo fantascienza».
Sarebbe bello…
«Bellissimo», chiosano gli scienziati.